Prima di lei nessuno aveva osservato e documentato la capacità degli scimpanzé di creare e utilizzare attrezzi: per lungo tempo si è ritenuta una prerogativa dell’uomo. Ma grazie ai suoi studi rivoluzionari, condotti sugli esemplari del Gombe Stream National Park in Tanzania, Jane Goodall è riuscita cambiare profondamente il nostro sguardo sugli animali e sugli esseri umani. Ma qual è l’incredibile storia di questa etologa e antropologa inglese? La donna senza una laurea che, con il malcelato disappunto del maschilista mondo accademico, ha osato mettere in discussione l’unicità degli esseri umani?
In principio c’era Jubilee, un peluche di scimpanzé con cui Goodall trascorre la maggior parte del tempo da bambina. Nata a Londra nell’aprile del 1934, fin dall’infanzia si appassiona di animali e di libri d’avventura, specialmente quelli ambientati in luoghi esotici come giungle e foreste. Molti anni dopo, appena un’amica le propone di andare sul serio in questi luoghi remoti – nel 1957 – Goodall è pronta per cominciare la sua avventura.
La meta è il Kenya e ad aspettarla c’è il famoso antropologo e paleontologo Louis Leakey, che la assume come segretaria. Seguendo il lavoro di Leakey, Goodall ha modo di apprendere i segreti del lavoro di osservazione sugli animali e non può che accogliere con entusiasmo la proposta dello studioso – convinto che l’approccio non accademico di Goodall potesse dare un forte contributo alle sue ricerche – di andare in Tanzania a studiare gli scimpanzé nel loro habitat naturale.
Subito Goodall infrange gli schemi: dà nomi propri agli esemplari che segue – considerato sintomi di un attaccamento che avrebbe potuto nuocere alla ricerca – e riesce ad avvicinare alcuni esemplari. Fa tutto ciò che un accademico non avrebbe mai fatto: rompe i protocolli. Appena arrivata, in pochi avrebbero scommesso sulla sua durata. Eppure le settimane passano e lei continua imperterrita nel suo lavoro. L’entusiasmo cresce ancora di più quando nota che questi animali manifestano comportamenti che solitamente si attribuiscono all’uomo. Provano emozioni e costruiscono utensili per aiutarsi a mangiare. Quando comunica le sue osservazioni a Leakey, subito lui le risponde: “ora possiamo ridefinire il concetto di strumento o ridefinire l’uomo, oppure accettare gli scimpanzé come umani.” Il mondo accademico del tempo non è pronto ad accettare facilmente un cambio di prospettiva così epocale, per giunta proposto da una ragazza senza alcuna formazione accademica. Eppure nel 1963 finisce sul National Geographic e due anni dopo si aggiudica il dottorato in etologia all’Università di Cambridge, pur non essendo laureata. Nel 1977 fonda il Jane Goodall Institute per sostenere la sua ricerca sugli scimpanzé e avviare tanti altri progetti, tra cui percorsi formativi che insegnino ai giovani il rispetto per animali e ambiente.
Da allora, Goodall viaggia per il mondo non solo in qualità di studiosa, ma anche da attivista per l’ambiente e le specie animali in via d’estinzione, facendosi portavoce di un modo più consapevole di abitare questo pianeta, attraverso l’educazione delle nuove generazioni, perché ciò che davvero ci differenzia dagli animali, è il linguaggio attraverso cui trasmettiamo la conoscenza.
Solo noi possiamo fare la differenza. Se viviamo vite in cui consapevolmente lasciamo le orme più leggere ed ecologiche possibili, se compriamo i prodotti, che è etico comprare e non compriamo quelli che non lo sono, possiamo cambiare il mondo in una notte.