Venus William. Simone Biles. Naomi Osaka. Grandissime atlete, grandissime campionesse. Ma anche donne che di recente hanno parlato di una questione ancora poco dibattuta nell’ambito competitivo dello sport – e non solo: la salute mentale.
Tutti noi affrontiamo le sfide della salute mentale derivanti dalle inevitabili battute d’arresto e incertezze della vita. Viviamo anche in una cultura che glorifica l’essere maniaci del lavoro, dove i rischi di burnout sono spesso ignorati e dove, ammettiamolo, che tu sia dentro o fuori dal campo, vincere è tutto.
Come ha ricordato la tennista Venus Williams in una intervista per il New York Times, non c’è nulla di più stigmatizzato che l’idea di prendersi cura dei propri stati emotivi e riappropriarsi del proprio tempo. C’è ancora una forte resistenza nel considerare la propria salute mentale qualcosa per cui vale la pena fermarsi, in un mondo che ci vuole costantemente alla ricerca della perfezione e “del risultato”. Quando si avverte la pressione degli altri addosso rispetto ai propri obiettivi, perdersi è fin troppo facile e rimettersi sulla (propria) retta via, impossibile.
Ma forse queste aspettative esterne su di noi si possono gestire. Cominciando col riconoscerle, ad esempio. Capire che l’ansia verso certi traguardi non ci appartiene ma l’abbiamo “ereditata” da qualcun altro non è cosa facile, ma quando succede si è già a metà dell’opera. La domanda che ci dobbiamo porre è: per chi sto correndo così in fretta? Lo sto facendo per me o voglio accontentare qualcuno?
Per chiarirsi questo interrogativo (cosa non del tutto immediata) ci si può aiutare adattando il ritmo dei propri impegni a se stessi, fermandosi quando lo si ritiene opportuno e magari dando ascolto a quei campanelli di allarme che si attivano quando siamo troppo stressati. Proprio come insegnano queste grandi campionesse, avere la forza di fermarsi per capire di cosa si ha bisogno è qualcosa che sembra impossibile ma a guardar bene non lo è. Anche se il mondo sembra insegnarci il contrario, c’è tutto da perdere quando non si segue se stessi. Questo è sicuramente un passo che non ci concederemmo facilmente se ascoltassimo solo le voci altrui: ma qui stiamo parlando proprio di riappropriarsi della nostra. E per farlo, in ultimo, fidiamoci del fatto chiedere aiuto può essere una grande risorsa: a un amico, a uno specialista, a chiunque sia pronto ad ascoltarci, aiutarci e sondare nel nostro profondo per scovare questa nostra voce e riportarla a galla. Per metterla in dialogo con le aspettative degli altri e per scoprirla magari timida, ma a poco a poco sempre più forte e sicura di sé. Anche questo, vuol dire amarsi e imparare a considerare la proprie priorità. E vuol dire imparare a limitare il potere degli altri su di noi e dare il giusto spazio ai nostri bisogni. Noi ne siamo più che convinti: si, può, fare!