Audrey Hepburn, affermava “I believe in pink!”, la cantante Janelle Monáe ne ha fatto una canzone, PYNK, per dire che “è il colore che ci unisce tutti, che si trova negli angoli più profondi e più oscuri degli umani di tutto il mondo: è dove il futuro è nato…”; e tantissimi altri artisti hanno celebrato, nel tempo, il significato del colore rosa.
Contrariamente a quello che si può pensare, però, il rosa non è sempre stato il simbolo della femminilità. Il pregiudizio secondo cui, se sei femmina, ti deve piacere – o rappresentare – il rosa non è soltanto obsoleto, ma neanche così radicato come potremmo pensare. L’origine di questa tendenza risale all’incirca agli anni Quaranta, mentre si diffonde maggiormente nel decennio successivo, quando la First Lady statunitense Mamie Eisenhower lancia la moda degli abiti di quel colore. Il rosa comincia a diventare la tinta della vita domestica – e quindi, naturalmente, delle donne – per imporsi definitivamente nei recenti anni Ottanta, quando le coppie possono conoscere in anticipo il sesso del nascituro e premunirsi prima di indumenti ad hoc – rosa per le femmine e blu per i maschi. Nel passato però, le cose sono andate diversamente: nel Settecento, alle corte francese, il rosa era di gran moda come colore sia per donne che uomini.
Successivamente, come si racconta nel celeberrimo Piccole Donne di Louisa May Alcott, l’utilizzo di nastri rosa e blu per distinguere il sesso dei bambini diventa un’abitudine della cultura francese.
– I bambini più belli che abbia mai visto. Qual è il maschio e qual è la femmina? – chiese Laurie chinandosi per esaminare più da vicino i due prodigi.
– Amy ha messo un nastro azzurro al maschio e uno rosa alla femmina, come si usa in Francia, in modo da distinguerli senza sforzo.
Ma questa moda è un’eccezione. Nel 1918, nella Earnshaw’s Infants’ Department (rivista di vestiti per bambini) si sostiene fermamente il contrario: “la regola comunemente accettata è che il rosa sia per i bambini, il blu per le bambine. Questo perché il rosa è un colore più forte e deciso, più adatto ad un maschio, mentre il blu, che è più delicato e grazioso, è più adatto alle femmine”. Il rosa è il fortunato colore della Gazzetta dello Sport, del completo di Jay Gatsby ne Il Grande Gatsby di F.Scott Fitzgerald (datato 1925) e sarà il colore della cadillac di Elvis.
Nessuna distinzione di genere, dunque, ma comincia a farsi strada anche come colore femminile: negli anni Trenta, lo sviluppo della chimica apre le porte a nuove colorazioni ed Elsa Schiaparelli lancia il Rosa Shocking come colore del suo brand. Si aprono le porte così al grande successo del rosa degli anni Cinquanta e Sessanta: è il colore degli abiti delle first lady – dalle mise di Mamie Eisenhower al tailleur di Jackie Kennedy, indossato a Dallas il giorno dell’uccisione del marito; è la tinta che lancia la direttrice del giornale di moda in Cenerentola a Parigi, cantando la famosa Think Pink! e dell’iconico colore dell’abito di Marilyn in Gli uomini preferiscono le bionde.
Senza contare, che sarà anche il colore per eccellenza della bambola delle bambole: Barbie. Dopo un periodo di calma negli anni Settanta, il rosa riemerge prepotentemente negli anni Ottanta dove – anche grazie a figure iconiche come le Pink Ladies di Grease – si conferma come il colore femminile per eccellenza.
Più avanti, gli Aerosmith celebrano il rosa nella loro Pink!, è il colore di una “nuova” bionda (per niente sprovveduta) ne La rivincita delle bionde e continua ad avere una grande fortuna, approdando ai giorni nostri nella sfumatura del Millennial Pink. E per quanto sia cambiata la percezione del suo significato – non più soltanto strettamente legato all’universo femminile – non si può che amare questo colore, dalla mille sfumature, che racconta un pezzo della nostra storia.