C’è chi li taglia per noia, chi per seguire la moda del momento, chi per seguire le stagioni (corti d’estate, che sono più gestibili, lunghi d’inverno). Ma spesso dietro un taglio di capelli c’è una volontà più forte: quella di togliere via il superfluo, le emozioni scomode e abbracciare un nuovo modo di pensare. Quante volte siamo andate dal parrucchiere con la voglia di cambiare, con il desiderio – e l’illusione – che un “volto nuovo” possa corrispondere a quella rivoluzione di cui abbiamo tanto bisogno?
Sarà successo a tutti, presto o tardi, di utilizzare i capelli per stravolgersi, per lasciare un segno e mostrare al mondo – e a se stessi – che si vuole cambiare: lasciare alle spalle un lutto, una relazione, ribellarsi alle proprie abitudini e farlo in quel momento di eccitazione misto terrore che ogni tanto ci travolge quando siamo dal parrucchiere e ci fa dire “taglia, ho voglia di cambiare“. Ora, non sempre usciamo con la sensazione di forza che vorremmo avere, ma possiamo sempre consolarci con l’altro grande mantra del “tanto poi ricrescono”, per lasciare libero sfogo al nostro bisogno di vedersi “diversi”.
E tentare un’azione così plateale e decisa, ha un significato ben preciso. Secondo Rebecca Newman, psicoterapeuta di Philadelphia, nel taglio di capelli, in quell’azione che pratichiamo su di noi quando ne abbiamo abbastanza di tutto e di tutti, si ricerca un preciso senso di sollievo, che vuole essere immediato. L’immediatezza del taglio e il piccolo dolore che ne deriva, sembra proprio quell’effetto che si cerca, per dar pace alla propria inquietudine.
“Quando stiamo attraversando un periodo particolarmente doloroso, tendiamo a prendere decisioni che ci permettano di avere sollievo immediato.”
Dopo tutto, abbiamo avuto diversi esempi cinematografici (e non solo) di come un taglio radicale sia simbolo di una nuova visione di se stessi: i teen movie degli anni ’80 tenevano sempre in considerazione il “nuovo taglio” per stravolgere la personalità dei protagonisti; Jo di Piccole Donne aiutava la famiglia vendendo le ciocche dei suoi capelli – e scoprendo che si poteva essere femminili anche senza una lunga e folta chioma. E se Sansone perdeva forza ad ogni taglio, le donne, infrangendo il tabù del capello corto – storicamente simbolo e strumento di umiliazione e mancanza di femminilità – sembrano aver fatto il contrario: alleggerire il peso sulla testa metaforicamente ha liberato le possibilità del loro essere, è diventata un’affermazione di sé e della proprio indipendenza, molto forte.
Se dunque sui capelli delle donne si sono giocate partite culturali ben più grandi delle singole esperienze, ognuna sa che ancora, nel modo in cui scegliamo di portare i capelli si racchiude uno strumento potente di comunicazione. Che siano tagli, colori, acconciature – non ha poi così importanza: l’importante è agire sul nostro aspetto per darci forza e mantenere fede alla volontà di cambiare, che spesso passa per questa sorta di “amputazione”.